La restituzione grafica dell’incontro del 22 settembre sulle comunità abitative. A seguire il resoconto scritto.

 

Nella giornata di domenica 22 settembre 2024 abbiamo avuto l’occasione di ricevere gentili ospiti da diverse comunità intenzionali italiane (Bagnaia, Corricelli, Urupia, Alvador, Meraki), che ci hanno raccontato un po’ di sè stesse, e in particolare:

  • Della proprie “coordinate” economiche.
  • Delle difficoltà che si incontrano nelle economie comunitarie

 

Riassumiamo qui alcuni dei punti toccati durante la prima parte della giornata (la seconda parte è stato un cerchio di condivisione con le persone presenti e non verrà riportata).

Prima di passare alle testimonianze, un paio di chiarimenti: si è parlato di cassa comune e di collettivizzazione. Mentre tutte le realtà presenti hanno creato una qualche forma di cassa comune (o più casse comuni), non tutte praticano la collettivizzazione dei propri beni: ad esempio se da un lato l’entrata a Meraki non comporta il versamento di una quota, dall’altro per Bagnaia e Urupia è parte integrante della partecipazione la messa in comune dei propri beni. Per questo si intende tutti i beni: conto in banca, risparmi, proprietà immobiliari… si tratta di due formule molto diverse e con vantaggi unici e problematicità diverse. Ma il bello è che esistano entrambe 😉

Bagnaia (pagina RIVE)

Nata nel 1979 da due gruppi, uno rurale e uno cittadino, che si sono messi assieme per cercare e poi comperare un terreno (acquistato con i propri fondi e con un muto). A Bagnaia la condivisione dei beni è totale: senza mettere tutto in comune, a prescindere da chi aveva cosa, il progetto non sarebbe potuto andare avanti. Questa decisione iniziale è stata fondamentale perché a decidere di comprare e di fare tutto in comune si è poi proseguiti bene.

Siamo partiti creando una cooperativa agricola (vite e olivi) per puntare all’autosufficienza: inizialmente ognuno aveva un lavoro, dentro la cooperativa o anche all’esterno della comunità, ma qualsiasi entrata veniva messa in comune. La cassa comune viene redistribuita periodicamente tramite riunioni collettive dove tutte le attività vengono discusse collettivamente (con tempi anche molto lunghi!). Per ognuna si valutano le spese e i guadagni. Una parte della cassa viene tenuta da parte per le spese personali (“paghetta mensile”), come i vestiti o il cinema. Tutto il resto è garantito: vitto, alloggio, ma anche corsi e spese mediche. Per questo esistono altre due casse: quella alimentare e quella delle spese mediche. Esiste un contratto di uscita per chi decide di lasciare la comune: la comunità dà a chi esce in base alle sue necessità.

Quali difficoltà: le difficoltà si sono accumulate nel tempo soprattutto perché le persone che entravano non erano pronte al discorso di collettivizzazione della proprietà personale. Abbiamo capito che era quindi possibile arrivarci per gradi, e così alla fine chi si è avvicinato ha poi fatto la scelta di restare e condividere, anche se tante persone provenivano da famiglie diverse dove c’erano possibilità molto diverse. Qui al contrario si cerca sempre l’orizzontalità. Che comunque non viene gratuitamente: ci sono tante discussioni, sui soldi, sui figli ma anche sul cibo (abbiamo tanto, ma anche così, le piccole cose e piccole mancanze trovano il modo di farsi sentire). Problematica può anche essere la cura: visti che c’è chi fa più attenzione alla cura e alla manutenzione e chi meno, questo porta inevitabilmente a disagi e a tante discussioni. Ugualmente il turnover è problematico. Sono entrate tante persone e anche uscite. Manca in particolare un ricambio di giovani. Le cose non sono andate esattamente come si poteva sperare. L’agricoltura offre tante possibilità, tra cui quella di mettere radici, ma vediamo che le persone giovani non restano.

Meraki (https://www.progettomeraki.org/)

Comunità nata nel 2021 dalla volontà di 3 viaggiatori che si sono fermati per creare un luogo di aggregazione e di condivisione, un centro educativo e formativo che puntasse anche all’autosufficienza alimentare, energetica, economica. Al tempo stesso, c’è la volontà di essere raggiungibili e non totalmente isolati. Siamo partiti da una chiamata agli amici: è stata condivisa con loro la visione, e da lì sono arrivate 8 persone che non si conoscevano. Grazie alla disponibilità economica di una delle persone “viaggiatrici” che avevano avuto l’idea, si è proceduto all’acquisto del luogo. Ad oggi, per entrare in comunità non viene chiesto niente. Tuttavia, per evitare il “proprietario unico” abbiamo cercato di distribuire la resposabilità tramite dei contributi mensili richiesti a chi abita, e si è creata una APS (associazione di promozione sociale – vedi nota * in fondo) per gestire la casa. Ad oggi ci vivono una dozzina di persone, alcune stabili, altre in fase di stabilimento.
L’economia interna è mista:

  • Le entrate provengono da donazioni, 5 per mille, eventi, contributi di residenti e visitatori. Va tutto in cassa comune. Gli eventi e i rapporti lavorativi sono in rete con le realtà e le istituzioni locali (es. gli abitanti di Meraki prestano manodopera ad un’azienda agricola vicina, e gli enti locali danno supporto non finanziario agli eventi)
  • I progetti vengono decisi attraverso i cerchi decisionali.
  • Ogni 3 mesi viene fatto un bilancio interno. Durante questo incontro si fa il punto della situazione e si progettano i tre mesi seguenti, a partire dalle esigenze economiche (entrate ed uscite) dei vari progetti in corso. Con questo calcolo si stabilisce il contributo necessario.
  • Esiste poi una cassa di emergenza.
  • Le entrate rimanenti, se ce ne sono, vengono assegnate su base meritocratica (cioè sulla base del lavoro e sull’impegno), individuale. Ogni persona discute in cerchio come si sente rispetto alla cifra che riceve. Questo è importante a Meraki perché tante persone viaggiano e magari sono presenti solo parte del mese e l’impegno cambia da persona a persona.

A Meraki teniamo una certa flessibilità, ovvero non c’è quota d’ingresso o collettivizzazione dei beni, ed è molto facile entrare ed uscire. Ognuno ha la sua propria economia privata. C’è un percorso di un anno per capire se si condividono o meno i valori. Il vantaggio è la fluidità, molte persone sono entrate ed uscite tranquillamente. Lo svantaggio è l’impegno più superficiale, perché in breve tempo si può uscire, prendendosi quindi megno impegni. E’ una forma di sperimentazione che la comunità si è data, in qualità di comunità di viaggiatori, dove ognuno è indipendente ed è in grado di fare le proprie scelte. Il contributo mensile è però richiesto anche quando si è via, perché è necessario dare continuità nel supporto al progetto. Il modo in cui distribuiamo quello che avanza dalla cassa inoltre può essere problematico nel senso che abbiamo molta fiducia nel meccanismo dell’autoresponsabilità, ma questo significa che ognuno deve essere aperto nel discutere in gruppo.

Corricelli (https://www.ecovillaggiocorricelli.com/)

Nel 2003 un gruppo di persone (poi rimaste in 4) decide di riabitare un luogo impervio e abbandonato, dotato di poche zone pianeggianti e scarsa possibilità di coltivare. In seguito il gruppo iniziale cambierà, ma intanto costruiscono, quasi senza avere niente, case di paglia e piccoli orti. Nel 2014 arrivano due persone con disponibilità economica, e si parte con la ricostruzione di un primo edificio.
I 3 proprietari del luogo (che non fanno parte del progetto) lo concedono a chi vi abita tramite un contratto agricolo (enfiteusi) a titolo gratuito e perenne, con obbligo di migliorare il terreno e di ripristinare le fonti. Parte del terreno è invece concesso dalla regione. Il contratto di enfiteusi a titolo gratuito fa sì che i membri non siano legati alla proprietà ma che per usufruirne debbano rispettare certi parametri. Questa formula tutela il bene comune, e sappiamo che sarà sempre usato per la tutela del territorio e non per profitto. Nel 2018 una seconda quota di capitale viene messa disposizione per finire la ristrutturazione.
Attività economiche:

  •  Ogni abitante versa 300 euro (“quota fissa”) al mese per cibo, attrezzature, spese del luogo, cassa comune e di emergenza. Questa quota è un riferimento e ci aiuta a gestire entrate ed uscite. Il contro è che chi abita è costretto a “produrre reddito”. Il pro è che chi vive con noi ha lo stimolo ed il desiderio di sviluppare una propria attività. Il territorio ha i suoi limiti geografici, ma con la voglia e la buona volontà si presta a diverse attività.
  • C’è autosufficienza energetica e si sta andando verso l’autosufficienza alimentare.
  • Gli eventi sono una fonte di entrate (10-20% del bilancio). Si tratta soprattutto di corsi, che però non hanno un impatto solo economico anche ci aiutano a costruire: abbiamo fatto l’impianto di fitodepurazione, un orto sinergico, muretti a secco.
  • Alcune persone lavorano nell’ecovillaggio e altre fuori (ancora non c’è lavoro per tutte dentro).
  • L’impegno richiesto è di mezza giornata indivicativamente [a settimana, credo? ndr] di lavoro per casa, orto, ecc.
  • La cassa comune viene gestita assieme e fa sì che ci siano molti confronti sul consumo critico, per capire a cosa si può rinunciare e ad affrontare assieme le spinte esterne del consumismo (qui come altrove… tante discussioni sulla necessità di biscotti comperi e nutella).
  • Similmente a Meraki, c’è abbastanza libertà ad entrare ed uscire. Si basa tutto molto sulla fiducia.

Urupia (sito con storia e punti consensuali: https://urupia.wordpress.com/)

Nasce come comune libertaria nel 1995, dopo quattro anni di incontri tra un gruppo di berlinesi e salentini che redigevano la rivista antimilitarista “Senza Pace”. Il luogo viene infine scelto non tanto per le sue qualità ma perché era quello che ci si poteva permettere! I soldi vengono raccolti tra chi aderiva, con un mutuo (tramite MAG6), e con una raccolta esterna, grazie anche alla rete tedesca. Per partire si è ritenuta fondamentale la proprietà collettiva dei terreni e dei mezzi. Mentre la parte tedesca del gruppo voleva puntare più sulla cultura, alla fine ha meglio il territorio e si finiscono per sfruttare i 27 ettari a disposizione per fare vino, olio, panificati, che vengono prodotti per consumo interno e per lo scambio (preferibilmente: il baratto è la forma preferita per creare rete e avere prodotti che ci servono ma non produciamo) o la vendita. La vendita e lo scambio di prodotti ci permettono anche di fare scelte politiche sul tipo di produzioni che ci sentiamo di sostenere. Delle persone fondatrici ne è rimasta 1, ma il progetto non era tanto legato alle persone quanto all’idea della comune libertaria. Delle persone che la attraversano nel tempo alcune si fermano, altre ripartono ma comunque c’è un buon ricambio, e questo è ben accolto nello spirito del passaggio di competenze reciproco.

Ci sono 2 assemblee settimanali, una per tutte le persone presenti e una per le comunarde.
I beni della comune sono intestati ad una associazione, che è l’unica forma giuridica che permette di usare il consenso per le decisioni. Non c’è nessuna paghetta e non c’è nessun limite alle spese personali: ogni mese si fa un flusso di cassa per capire cosa esce e cosa entra. Ognuno registra cosa entra e cosa esce dal proprio “conto”, ma tutto è condiviso e non c’è possibilità di accumulo.

La cassa comune è difficile spiegarla, va sperimentata! E’ difficile scardinare il retaggio del capitalismo, che emerge ogni volta che si discutono le priorità in gruppo. Ma Urupia è anche questo, un laboratorio sociale. Non si tratta solo di scardinare la cultura dominante attuale ma anche la difficoltà di creare pratiche nuove alternative, evitando di vivere solo nella teoria. La collettivizzazione dei beni è difficile per chi entra (Chi entra, per diventare comunarda, deve mettere i propri bene in comune), ma è un grosso scoglio che se non superato impedisce la vera orizzontalità in ogni situazione e decisione. Per facilitare il superamento di questa fase iniziale abbiamo pensato di introdurre tipologie graduali e miste che stiamo sperimentando (cioè chi entra non deve collettivizzare tutto e subito).

Alvador (pagina Instagram)

Piccola comune di 5 persone circa + bambini e ospiti.
Nasce nel 2015 sulle colline di Reggio Emilia, da un gruppo che era precedentemente attivo nell’attivismo antifascista, che condivide il desiderio di vivere assieme nella semplicità e di creare un progetto più stabile sull’impronta di un ecovillaggio. Il gruppo lavora molto con la RIVE (https://ecovillaggi.it/) per formulare il progetto, fino ad arrivare al tema di acquistare casa. Qui si pone il tema economico: come fare ad acquistare? C’era l’esigenza sia di mettere in comune che di rompere l’isolamento e di lavorare verso la collettivizzazione. Ma: anche con buoni intenti la concretizzazione è stata difficile!

  • Anche Alvador crea una APS a sostegno, ma non per la proprietà (che rimane divisa tra chi c’era al momento dell’acquisto).
  • Il lavoro è misto esterno (2-3 persone) ed interno.
  • Esiste una cassa comune e una cassa APS, con una persona che aiuta a tenere i conti.
  • La cassa copre i bisogni essenziali e in più c’è una piccola o piccolissima (a seconda del periodo) “paghetta”.
  • Durante le riunioni si decide come usare i soldi della cassa; sotto una certa soglia c’è autonomia e non si deve passare dal cerchio.
  • Al cerchio inoltre si portano i bisogni individuali, es. fare un viaggio e cose simili che non sarebbero possibili con i soldi della paghetta.
  • Autosufficienza: è un tema che si è discusso, ma si è deciso di non voler puntare tanto su questa quanto sulla creazione di una rete di sostegno. Abbiamo scelto di avere una “faccia” verso il paese e una verso il bosco, cercando di aiutare e farci aiutare da chi è più vicino. Questo comunque non vuole dire che non ci siano autoproduzioni e coltivazioni!

Anche per le persone dell’Alvador la collettivizzazione è un tema difficile, soprattutto per chi si avvicina. Il desiderio è uscire dai confini dell’individualismo e dal microcosmo della coppia e fare questa fatica assieme, a tante teste. I soldi sicuramente servono e bisogna pensarci ma anche trovare un’equilibrio per la collettività. Da fuori il processo può sembrare un “incatenarsi” (perdendo la libertà dei soldi), ma in realtà la collettivizzazione è una liberazione. Un problema è che le persone che partecipano vengono da famiglie con background diversi. Ci sono fattori che esulano dall’aspetto monetario e che complicano le cose: ad esempio, i regali o i favori da parte dalla famiglia, anche se piccoli, possono accumularsi e creare scompiglio. Per evitare squilibri si lavora sempre per cercare di equalizzare il più possibile, anche al di fuori del patrimonio inteso in senso classico. C’è quindi bisogno di parlare di tutto apertamente, di portare allo scoperto i “panni sporchi”, per imparare ad aprire, assieme agli altri, queste scatole “scomode”, dove spesso troviamo sentimenti “brutti” che ci vengono dalla nostra cultura precedente.

 


 

Ringraziamo di cuore tutt3 le presenti, per chi è venut3 da lontano per portarci le proprie conoscenze, ma anche chi è venut3 ad ascoltare!

Lasciamo qui un ulteriore approfondimento sulla cassa comune di Mondo di Comunità e Famiglia, che non era presente all’incontro, ma si tratta di una realtà che ha a lungo lavorato con questo strumento e condiviso le proprie esperienze: https://comunitaefamiglia.org/buone-pratiche/cassa-comune/

 

* Si è parlato di APS (associazione di promozione sociale) e associazioni a supporto dei beni comuni, come modalità per darsi una forma giuridica per la gestione dei luogi e dei beni comuni. Urupia usa l’associazione semplice (che però non ha sgravi fiscali sui beni immobili), mentre Meraki e Alvador usano l’APS (che ha maggiori obblighi ma la possibilità di avere alcuni sgravi fiscali).